lunedì 29 luglio 2013

Italian User Write About the hiFace DAC - Un Utente Italiano Scrive una Recensione sull'hiFace DAC

[English]

One of our Italian users has kindly sent us a spontaneous review on the hiFace DAC. Needless to say that he's fond of the hiFace DAC. He uses the hiFace DAC in an all-Audio Tekne system. This fact, already, can be claimed as a pure heresy, nevertheless, he says that the hiFace DAC is capable of keeping the overall approach of the system, turning a test experience into listening pleasure.

It's very interesting when he says that the increase in resolution brigns to an apparent decrease of dynamic, to later realize that it's the distortion and the digital artifact to disappear, which are often exchanged for dynamic.

The writer closes stating that the hiFace DAC can kill (well, the word is not exactally "kill") a lot of more expensive competitors, particularly in systems in which tis implicit strenghts are duly highlighted.

You can find the review (in italian) in the italian section below: it is worth to use Google Translator to read it in your language.

[Italiano]

Un nostro cliente italiano ci ha gentilmente inviato una sua recensione sull'hiFace DAC, scritta "motu proprio". Inutile dire che è molto contento dell'hiFace DAC. Lo usa in un impianto "tutto Audio Tekne" e già questo potrebbe far gridare all'eresia. Ciò nonostante, l'autore della recensione afferma che l'hiFace DAC è in grado di conservare l'approccio musicale generale dell'impianto, trasformando un test in un momento di piacere musicale.

E' molto interessante leggere che ha percepito l'incremento in risoluzione come una apparente diminuzione di dinamica, solo per scoprire poi che erano la distorsione e gli artefatti digitali a diminuire, aspetti del suono che spesso vengono scambiati per dinamica.

L'autore chiosa affermando che l'hiFace DAC può uccidere (beh, la parola non è proprio questa) molti dei suoi più costosi concorrenti, specialmente in impianti in grado di mettere in luce nel dovuto modo le forze di questo DAC piccolo solo nel prezzo.

Di seguito la recensione:

FUCK THE GIANTS
Lo strumento dell’ing. Manunta non ammazza nessun gigante. Non ve ne sono e non ce ne devono essere, nella musica, di giganti da ammazzare. Anche perché il più delle volte sono solo suggestioni giornalistiche create (quasi ad hoc?) per conquistare visibilità nell’affollato e congestionato mondo dell’informazione digitale. Gli anglofoni direbbero “you get what you pay for”.
Ho parlato dell’hiFace come strumento, non a caso. La sua capacità di “ricomporre” la musica non ha eguali nella sua classe di prezzo. Equilibrio, trasparenza, linearità e naturalezza. Questo è quello che avrete per il prezzo pagato. La naturalezza, in particolare, è un parametro sconosciuto, fino ad oggi, nel segmento in cui la creazione dell’impresa pisana si colloca.
La prova l’ho effettuata con una catena completa Audio Tekne, che costituisce il mio riferimento assoluto, sempre che di assoluti si possa parlare. Questi strumenti approssimano la mia idea di suono ideale poiché sono concepiti attorno ad una filosofia ben specifica: la musica è e deve essere prima di tutto esperienza culturale ed intellettuale. Se avete la possibilità di ascoltare qualche creazione di Imai vi renderete conto che la nota dominante è la medesima dell’hiFace, la naturalezza.
La metto brutalmente: ho scollegato stadio phono e testina Audio Tekne e ho collegato l’hiFace direttamente all’integrato TFM-2000. La differenza era colossale, ovviamente (e menomale…per i 15 mila euro circa che ci ho investito…!), ma il carattere di fondo della catena AT era preservato!! L’enorme passo avanti compiuto dalla M2Tech è stato quello di infondere una raffinata filosofia di suono in un prodotto pensato per le masse.
Ho adorato il suo essere spartano in quel suo colore arancio che non chiede di certo scusa; è stato commuovente vedere che il pezzo in mio possesso aveva un suo numero di serie scritto a mano, come per i veri giganti esoterici giapponesi; ed è stato meraviglioso potersi godere la musica con schietta semplicità. Ci pensate? Non è più necessario impazzire tra convertitori usb/spdif, dac con diverse campionature a disposizione, limitazioni nei sistemi operativi e/o programmi per la riproduzione, etc. Qui collegate il computer all’amplificatore e avrete istantaneamente tutti i suoni ricompresi tra il minimo e il massimo ad oggi disponibili.
Ok ma come suona? Rispondo come se mi chiedeste come suonano gli AT: normale! Una normalità tutta giapponese; non flemmatica, ma saggia e spirituale. Questo convertitore suonerà “rassicurante” con qualsiasi file deciderete di riprodurre. Rassicurante nel senso che non siederete sul divano con i nervi tesi e la gastrite galoppante alla ricerca della minima esitazione dell’apparecchio che condurrà al classico “si è ok, ma vorrei un po’ più di questo o meno di quello”. È un oggetto che dona serenità, come stare seduti in riva al mare, all’alba, a contemplare i suoni intorno e il silenzio nel mezzo. Non sembra precario o esitante come molte delle creazioni digitali del nostro tempo, sempre appese al filo, sempre incerte nell’incedere come potrebbe anche essere normale in un comparto in continua (ri)evoluzione. Questa è innovazione portata all’esasperazione, a livelli talmente alti da poter essere considerata matura. Qui si è lasciati il terreno incerto e sdrucciolevole della “novità”; si respira compiutezza di progetto e orgoglio di risultato. Qui si è talmente avanti rispetto al resto che ci si è permessi di donare all’oggetto perfino un’anima.
È stato anche “didattico”, in un certo senso, ascoltarlo. Ho confrontato gli stessi album con differenti livelli di “precisione”; ho ascoltato e confrontato il cd standard a 16bit e poi 24bit/96khz e 24bit/192khz. All’aumentare del bit rate ho assistito ad un fenomeno del tutto inatteso: la trasparenza, il dettaglio e il corpo aumentavano, ovviamente, mentre la dinamica sembrava diminuire. Sono passato al vinile con la configurazione massima a mia disposizione e l’ho confrontato con la campionatura a 24/192: il carattere di fondo era, ancora una volta, il medesimo. L’aumento del bit rate non diminuiva la dinamica, bensì rimuoveva semplicemente buona parte delle distorsioni che solitamente si scambiano per dinamica. Il risultato era piacevolissimo, di una piacevolezza quasi vinilica. No, secondo me, la musica digitale non suonerà mai come il vinile e, non deve, perché differenti sono i parametri sonori che vengono enfatizzati. In un aspetto specifico, però, credo che un giorno possano incontrarsi, la dinamica, appunto. Questa minuscola pennina è in grado di avvicinarci, oggi, a questo ipotetico ed auspicabile futuro.
In Closer dei Joy Division a 192khz la musica usciva martellante, ipnotica e rabbiosa, come impone un gran disco di new wave. L’album è strepitoso perché, se riprodotto a dovere, suona intimo e lirico al contempo. L’alta campionatura utilizzata ha concentrato il messaggio sonoro intorno ad uno specifico punto nello spazio e da lì la musica procedeva illuminandosi da dentro. Si è verificato uno spettacolo fenomenale: il mantra di “Atrocity Exhibition” era avvolto da una nota di fondo di depressione e mestizia appena accennata; il ”male di vita” di Ian Curtis si stagliava sul fondo dell’amalgama generale di distorsioni, come a voler rimanere volontariamente in disparte. Proprio come su lp, non ti preoccupi dei parametri audiofili. Mi sono commosso.
In the Black Saint and the Sinner Lady di Charles Mingus il carattere sonoro dominante era del tutto preservato. Questo è uno tra i dischi più belli, complessi e avanguardisti che possiedo. L’ho suonato su innumerevoli impianti è il più delle volte, purtroppo, è stata una vera tortura. Presi singolarmente gli strumenti suonano sgrammaticati, hanno un’impronta molto molto free. La composizione vuole esprimere il disagio e la rabbia della comunità afroamericana di quel periodo. Il fatto è che questo è un disco di big band che è orchestrato in modo monolitico, come se a suonare fosse un unico strumento. In impianti men che equilibrati, l’impatto è devastante e non si riesce ad arrivare alla fine del primo movimento. Passando dal vinile al file 24/96 (non posseggo purtroppo la versione a 192khz che comunque, penso, non sia stata ancora pubblicata) ho notato qualche compressione qua è là, qualche indurimento di tanto in tanto e una perdita di drammaticità nell’esecuzione; gran parte del resto però c’era tutto. Confesso che l’hiFace è il primo apparecchio digitale che non è uscito a pezzi dalla prova di Black Saint e credetemi non è poco!
Molti dischi li ho in bassa risoluzione, alcuni addirittura in mp3 di bassa qualità. L’hiFace è stato capace di suonare TUTTO in maniera gradevole assecondando la registrazione e rendendola comunque naturale. Le buone registrazioni con alto bit rate sono tutt’altra cosa, ovviamente, ma allo stesso tempo anche quelle più approssimative non risultano fastidiose. Alla fine, credetemi, vi troverete a non fare più distinzioni tra alta e bassa definizione perché apprezzerete un po’ tutta la vostra discografia digitale. Non è poi questo il fine ultimo della buona riproduzione?
Insomma, alla fine penso di poter concludere che questo hiFace sia un piccolo Davide con un cuore da (piccolo) Golia. Per una volta mettiamo da parte l’effettistica editoriale e diciamo che questo piccoletto i giganti non li ammazza, li … beh guardate il titolo!
A questo punto mi chiedo come suonino le realizzazioni più impegnative della stessa casa…
Un ultima raccomandazione: tutto ma non Windows! Non è semplice campanilismo. Linux (in realtà una sua specifica implementazione, Audiophile Linux che trovate qui http://www.ap-linux.com/ e usate Fluxbox, mi raccomando!) surclassa letteralmente Windows con i driver forniti e con Foobar+Jplay. Credetemi, non potrete dire di aver ascoltato veramente ciò che è in grado di fare questo piccolo gioiellino. Qualche grattacapo in più per l’installazione e il setting ma l’incremento di prestazioni è veramente sensibile.

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